Nel mio lavoro di coach sono tante le persone che si rivolgono a me spinte dal desiderio di “fare carriera” all’interno della propria azienda o, quando questo non è possibile, anche ricercando nuove opportunità di lavoro al di fuori della propria organizzazione.
In questi casi, una delle prime domande che rivolgo al cliente è “Cosa vuol dire per te, fare carriera?”.
La risposta che ottengo il più delle volte è “Ovvio… Diventare manager!”.
Non c’è che dire, la carriera manageriale è da sempre il traguardo più ambito sia da chi si appresta ad entrare nel modo del lavoro che da chi ne fa già parte.
Visibilità, potere, status sono questi alcuni degli ingredienti che rendono decisamente attraente e dunque ambitissimo il ruolo del Manager.
Peccato però che questo approccio alla carriera in un contesto estremamente mutevole come quello odierno, risulti ormai poco applicabile se non addirittura pericoloso.
La ragione è presto detta.
Negli ultimi anni il mercato del lavoro è radicalmente cambiato: la necessità di adeguarsi ad uno scenario in continua evoluzione spinge le aziende a cercare una forza lavoro sempre più pronta a cambiare, a destreggiarsi tra mansioni multiple e cangianti garantendo allo stesso tempo elevati standard di performance.
Di fatto sono cambiati i modelli professionali e soprattutto i valori alla base dei rapporti di lavoro: si è passati dalla stabilità alla mobilità, dalla verticalizzazione delle competenze alla trasversalità dei ruoli.
I percorsi di crescita in azienda sono conseguentemente tutt’altro che lineari e assomigliano poco alla classica progressione verticale tipica della carriera tradizionale.
In passato fare carriera era lo perlopiù sinonimo di scalare tutti i gradini della scala gerarchica: crescere professionalmente significava ricoprire ruoli con sempre maggiore autonomia e responsabilità ed allo stesso tempo acquisire competenze altamente specializzate, in poche e specifiche funzioni.
Oggi, all’interno di organizzazioni sempre più fluide e cangianti, anche la carriera cambia repentinamente: in tal senso viene definita “proteiforme” (Hall, 1996) poiché si compone di esperienze del tutto diversificate, di svolte improvvise, di passaggi da un ruolo ad un altro.
Tramontata l’era della carriera tradizionale, in cui la persona aspettava passivamente le proposte dell’organizzazione o tutt’al più sollecitava all’azienda il riconoscimento di un ruolo, oggi l’individuo in quanto artefice della propria carriera, sceglie di incrementare il proprio bagaglio di competenze ed esperienze transitando attraverso più setting lavorativi ed assumendosi la responsabilità delle proprie scelte.
Oggi la Carriera è un percorso professionale senza confini (boundaryless)si sviluppa attraverso una sequenza di opportunità lavorative che vengono di volta in volta intercettate per ottenere vantaggi di vario genere: retribuzione, ruolo, visibilità, partecipazione a team internazionali, missioni all’estero ecc.
Ne consegue che il successo di carriera non coincide più con lo status manageriale acquisito ma piuttosto con la capacità dell’individuo di sviluppare tutte quelle competenze che gli consentono di garantirsi costantemente una forte spendibilità sul mercato del lavoro.
In quest’ottica, l’indice di successo di carriera diventa il proprio livello di employability (“occupabilità”), ovvero ciò che l’esperto di management Sumantra Ghoshal definisce la capacità:
- Per i giovani, di assicurarsi l’ingresso nel mondo del lavoro attraverso un opportuno set di conoscenze e competenze apprese grazie al sistema formativo.
- Per chi ha un lavoro, di mantenerlo nel tempo, sviluppando percorsi di carriera all’interno della propria organizzazione.
- Per chi si deve ricollocare, di reimpiegarsi più velocemente grazie al livello di spendibilità delle proprie competenze sul mercato del lavoro.
Per assicurarsi un alto livello di employability occorre investire proattivamente in tutte quelle azioni che aumentano la propria occupabilità: formazione, aggiornamento, networking, personal branding ecc.
Questo approccio al lavoro presuppone che la persona si prenda la responsabilità della propria carriera, definisca (e ridefinisca in itinere) il proprio progetto professionale sviluppando tutte quelle skill che fanno bene alla carriera: resilienza di fronte alle difficoltà o fallimenti, apertura al cambiamento, adattabilità a nuove situazioni o nuovi compiti, proattività nella ricerca di opportunità di lavoro, crescita o apprendimento.
In altre parole, è fondamentale che la persona sia disposta ad operare un radicale cambio di paradigma: passare cioè dalla prospettiva di job security (sicurezza del lavoro) a quella di employement security (sicurezza di occupabilità).
Insomma, come amo spesso ripetere ai miei coachee, oggi la vera domanda da porsi per testare il proprio successo di carriera non è tanto “Quanto sono vicino al ruolo di manager” ma “Quanto sono employable sul mercato del lavoro”?
Se vuoi conoscere il tuo livello di employability, fai il test!
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